Giancarla Frare

Il mio incontro con Roberta Meldini

Ero a Roma da poco più di un anno. Avevo lasciato Venezia, il mio porto sicuro e ricominciavo tutto da capo a poco più di trent’anni, in una Roma ancora sconosciuta.

Quella sera, credo un giorno d’autunno dell’86, m’ero arrampicata in una strada vicino al Colosseo, per andare a sentire la conferenza di Gianfranco Nolli, curatore della Sezione Egizia dei Musei Vaticani.

Il posto era suggestivo: si sentiva la presenza della grande mole del Colosseo ma stavo per entrare in una piccola casa appoggiata al lato di una minuscola chiesa tardo barocca, Santa Maria della Neve. Uno di quegli angoli fuori dal tempo e lontani da ogni rumore.

Attorno a un grande tavolo, compresse tra spazi insufficienti c’erano molte persone. Tutti artisti, molti di loro scultori, e tutti frequentavano la casa di Nolli per penetrare meglio i contenuti dei testi sacri. Nolli era un insigne biblista.

Notai subito Roberta Meldini. Questa donna di grande bellezza sprigionava una luce straordinaria.

Per molti mesi ci limitammo ad un incontro in quello spazio. S’era creato un cenacolo, nonostante la scorza ruvida di Nolli e l‘aspetto terrificante del suo cane, Sekmet. Avrebbe scoraggiato chiunque ad entrare in quella casa. L’amicizia si fece salda e presi a frequentare il suo studio.

Roberta lavorava in un piccolo spazio, molto luminoso sui tetti di casa sua. Un silenzio assoluto avvolgeva ogni cosa. La vedevo lavorare: il suo grande corpo dominava la forma che andava precisandosi. Grandi masse con una struttura architettonica profonda e scrittura di superficie, grafismi preziosi a definire l’ultima pelle delle cose.

La spiavo mentre metteva con forza le masse di creta sul supporto.

Gesti sicuri, lenti, potenti.

E poi una cura incredibile del dettaglio: tutto avveniva con gesti meditati e con un fare lento. L’opera finita, pur partendo spesso dal dato reale, lo sublimava in una forma che ricercava sintesi assolute.

Era molto attenta alla luce, a quello che la luce determina sui volumi.

Ho vissuto tra le sue sculture e tutte mi parevano delle forme archetipiche, forme dell’origine, senza tempo.

Ma leggendone la pelle, più da vicino, s’avvertiva il fremito e la mutazione di quei volumi. Il “racconto” si dava in superficie. La forma s’affacciava sul tempo e annunciava una sua possibile trasformazione.

Massimi dimensionali e definizioni ravvicinate… come se Roberta non si rapportasse alle cose come un comune mortale.

Ancora oggi, e mi è cara sempre, i suoi occhi ti guardano dall’alto e vedono lontano ma la sua attenzione all’umanità delle cose è vera e calda.

E vicina.

Io stimo profondamente la sua figura d’artista per l’autonomia linguistica che l’ha resa assolutamente originale e per il rigore assoluto che ha testimoniato nella sua vita. Ha lavorato in silenzio, ad altissima voce.

Roma, maggio 2008

Associazione "Roberta Meldini per l'Arte Contemporanea"

Via Giovanni Penta, 5 - 00157 Roma
C.F. 15488001007
E-mail: [email protected]
Telefono: +39 348.69.31.075