Marina Pescatori
Una biografia narrata
Roberta Meldini nasce a Rimini nel 1930, ma la sua formazione avviene a Roma dove giovanissima si trasferisce seguendo la famiglia. Nel pieno degli anni Quaranta frequenta il Liceo Artistico di Via Ripetta; non un ‘Artistico qualunque’ ma quello dove all’epoca possono capitarti insegnanti dai nomi famosi, e dove Roberta è allieva di Giuseppe Capogrossi e di Domenico Purificato (Ornato e figura).
Studentessa distratta perché sempre intenta a disegnare, adolescente timida ma volitiva e altruista quando si tratta di difendere i compagni, Roberta ci viene descritta dall’amica Zenaide come una ragazza spontanea, sempre allegra e solare, sebbene qualche problema di salute la renda meno disponibile alla piena condivisione delle attività con le compagne.
Nel 1949, finite le scuole superiori, Roberta si iscrive all’Accademia di Belle Arti. La scelta dell’indirizzo è condizionata dai pregiudizi del padre: «Troppo nudo nella sezione Scultura, meglio iscriverti a Decorazione». Ma la futura scultrice aveva già mostrato il suo senso per il plastico a 9 anni, realizzando la caricatura del padre Sirio, una piccola testa di sapore espressionista che rimarrà a memoria del suo primo lavoro artistico. Decorare, dunque, non si addice a Roberta che, durante il primo anno accademico, mostra a tutti il suo vero talento: «… devi fare scultura!», la sprona un professore, e lei, forte di quelle parole, senza dire niente in famiglia cambia sezione. Suo padre lo scoprirà più tardi, solo per caso.
Ora, nelle mani di maestri quali Mario Rivosecchi (Storia dell’Arte) e Michele Guerrisi (Scultura), Roberta dà il meglio di sé. Dei suoi anni in Accademia rimangono alcuni lavori che evidenziano l’artista che c’è in lei: un Nudo di donna che già esprime il calore femminile nella morbidezza dei ritmi lineari e un Adolescente nel quale mostra di aver appreso i nuovi modi della figurativa moderna, due opere in creta del 1951 pervenuteci solo in fotografia. Rimane, invece, visibile Meditazione, evidente segnale delle potenzialità espressive della scultrice di razza: una posa di arte classica mediterranea che propone la figura femminile raccolta, un gesso del 1951 che per l’alto timbro scenico ricorda La notte del francese Maillol (1902), artista che – come sarà per Roberta – amò il tema del nudo prospero e opulento.
Negli stessi anni anche lo studio della lavorazione del marmo porta i suoi frutti con l’ottima copia di una Madonna dal Rossellino, mentre riscontri positivi del suo lavoro giungono in occasione delle prime mostre collettive a Roma, Milano, Napoli.
Finita l’Accademia, alla metà degli anni Cinquanta Roberta già insegna negli Istituti superiori: Il contatto con i giovani nella scuola – ricorderà in seguito – è risultato estremamente stimolante, e la necessità di un continuo aggiornamento mi ha impegnato in un’attività di ricerca, avvicinandomi a molti autori moderni fra i quali Brancusi e Moore. L’ardita figurativa dello scultore inglese, soprattutto, l’aveva colpita in occasione della visita alla personale del Maestro nel 1971 a Firenze.
Il corpo umano, lo studio della sua evoluzione nelle arti, rimarrà centrale nel corso della carriera di Roberta, che amerà sempre mescolare antico e moderno nelle sue opere: Ritengo che l’incontro tra la concezione plastica del ‘900 e quella del ‘400 che ho lentamente assorbito fin dall’infanzia, sia stato determinante per il mio modo di fare scultura.
Nel 1955 Roberta conosce Silvano Petino che porterà nella sua vita serenità e amore, ma soprattutto la caricherà di fiducia in sé stessa e nel suo talento. Lo sposa nel ’57 e presto dalla loro unione nascono Carla e Marina.
Siamo alla fine degli anni Sessanta. Una giovane bella donna felice di essere moglie, mamma e insegnante, si divide tra casa scuola e scultura: Il ruolo di madre mi ha costretto a periodi più o meno lunghi di inattività […] Ho comunque sempre cercato con caparbietà dei brevi momenti da dedicare a me stessa per portare avanti il discorso sulla scultura disegnando e annotando idee, molte delle quali si trasformeranno in opere solo nei decenni a seguire. Una nuova e soddisfacente fase creativa prende vita, infatti, dagli anni Settanta e segue fino all’inizio del nuovo secolo.
Poco attratta dalla mondanità artistica, Roberta non frequenta gli ambienti che potrebbero portarle nuove utili conoscenze, preferendo invitare a casa artisti amici e studiosi. Ma affiancata e spronata dal marito Silvano, suo ‘manager per diletto’, nel tempo supera la riservatezza e si lascia conoscere e apprezzare dai critici nelle mostre personali e collettive; combatte l’innata timidezza e rilascia interviste dove ha modo di esternare il suo pensiero. Con la modestia di chi sa di valere, si fa avanti nel mondo dell’arte e prende spazio nel panorama artistico italiano.
Solo una nube turba, costante, i suoi anni migliori: una cefalea devastante che le fa perdere lucidità e che la costringe a trascorrere lunghe ore al buio aspettando che passi il dolore. Eppure, nulla di questo traspare dalle affascinanti sculture emblematiche, dai bassorilievi ascetici, dalle grafiche armoniose. Solo nelle centinaia di disegni conservati negli anni – e da poco esaminati – è possibile notare una certa compulsione nel tratto, indicativa, forse, dello stato d’animo dell’artista. In alcuni bozzetti il segno marcato che torna e ritorna a calcare, a definire un contorno, fa pensare a un disagio scaricato sul foglio. In altri, viceversa, la linea delicata, sottile, capace di creare dal nulla un profilo, fa pensare al ritorno di benessere e pace. C’è in lei come un fiume interiore che scorre, disturbato a momenti da qualcosa che arriva, staziona, se ne va.
Dal 2000 in poi, al disagio della cefalea si sovrappone una malattia neurologica che avanzerà inesorabile fino a spegnerla nel 2011.
Lo stato di salute, mai ottimale in Roberta, è stato senza dubbio la causa della sua limitata produzione artistica complessiva.
Sono del 2004 gli ultimi lavori nuovi, presentati alla Galleria Sartori di Mantova, alle successive esposizioni porterà solo opere già prodotte in precedenza. L’ultima personale, organizzata dalle figlie, si svolge nel 2008 presso la È Stile Gallery di Roma. «Mia madre – racconta Carla – preferiva lavorare alle sue opere in solitudine, nello spazio adibito a studio all’ultimo piano del palazzo in cui abitiamo. Da ragazza ci andavo spesso quando lei non c’era, a curiosare, a vedere lo stato dei lavori, e ogni volta mi sorprendeva ed emozionava quello che vedevo. Ero orgogliosa di avere una mamma artista! O meglio, dovrei dire un’artista/mamma, perché prima di tutto il resto per lei veniva la scultura». «E infatti sorprende – aggiunge Marina – che, pur consapevole della sua valenza, mia madre se ne stesse artisticamente in ombra, non si curasse, cioè, di emergere più di tanto».
Altri ricordi, legati ad anni di grande accordo di coppia, riempiono di luce gli occhi di Silvano quando paria della moglie che non c’è più. Tornano alla memoria i suoi dubbi d’artista e le soddisfazioni professionali, qualche aneddoto e qualche simpatico incidente in corso d’opera, come quello accorso alla testa in cemento di Figura in riposo che, per il peso eccessivo, continuava a staccarsi dal corpo, o quello capitato alle sottili zampe del Tacchino ancora in cera che, colte in pieno dal sole del meriggio, cominciavano a sciogliersi.
E fra gli altri ricordi, anche una grande emozione, quella provata da Roberta nel recarsi ad Ardea presso lo studio di Giacomo Manzù, dove il suo formatore Romolo Felice – lo stesso del grande scultore – le aveva lasciato da ritirare il bronzo di Silvia. Una conoscenza insperata che la riempì di orgoglio nel sentirsi elogiare dal Maestro.
Le ultime istantanee di una Roberta matura negli anni, dipingono il ritratto di una donna dolce, quieta e sorridente, sorretta dalla sua fede religiosa; di un’artista che ha lavorato finché ha potuto nonostante la grave malattia.
Per il marito, una donna meravigliosa.
Per le figlie, un’artista/mamma eccezionale.
Associazione "Roberta Meldini per l'Arte Contemporanea"
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